Viaggio in Nord Pakistan
I viaggi della Famiglia Bacci- 5 Dicembre 2022
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- Posted by Enrico Citi
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Il Pakistan del nord è stata un’esperienza bellissima fatta di grandi paesaggi, altissime montagne e interessanti visioni di arte buddista insolita. Non è un viaggio particolarmente difficile, a patto di affidarsi a qualche agenzia per il fuoristrada assolutamente necessario e l’autista, a meno che non si sia abituati a guidare su sterrato e con guida da cardiopalma.
È un viaggio un po’ stancante per via dei lunghi trasferimenti ma la bellezza dei panorami ripaga completamente. Io ho viaggiato con un piccolo gruppo con un viaggio della Jamila Viaggi di Pisa accompagnata dall’impagabile Stefano, guida premurosa ed archeologo preparatissimo che ha reso questo viaggio particolarmente interessante. Non esistono guide valide per il Pakistan né per l’organizzazione né per la parte storica artistica per cui una brava guida è particolarmente apprezzata.
Per gli alberghi a parte un paio di eccezioni dove non c’era di meglio, sono stati tutti da buoni a belli per cui nessuna difficoltà da quel punto di vista. Il cibo invece, anche se buono è molto monotono.
Quando parlo nel resoconto di luoghi turistici mi riferisco solo ad un turismo interno, pakistano, per il resto turisti pressoché zero. Sarà per questo che in generale la gente, pur di fede strettamente mussulmana, è molto cordiale e disponibile anche se, per ragioni culturali, gli uomini parlano solo con altri uomini (per noi donne a parte le guide e gli autisti è stato quasi impossibile parlare con esponenti dell’altro sesso, solo con bambini e donne).
È un paese che comunque fa ben sperare perché ovunque, anche nei paesini più spersi, abbiamo trovato le scuole pubbliche ed un paese che investe nella cultura è destinato a crescere o almeno glielo auguro con tutto il cuore.
2/9 Partiamo da Milano Malpensa con la Quatar alle 9.40. Ci siamo incontrati con gli altri compagni di viaggio alle 7.15. Abbiamo dormito a Milano vicino alla stazione (Spice Hotel € 108 la doppia) ed abbiamo cenato insieme a Stefano il nostro accompagnatore al Mercato coperto della stazione centrale, svegliati alle 6 abbiamo preso il Malpensa Express delle 6.25 e ce l’abbiamo fatta a fare colazione in stazione.
L’aereo è bello ma strapieno. Arriviamo a Doha in orario. Abbiamo uno stop di due ore e mezzo che ci permette di girare per questo magnifico aeroporto. Anche l’aereo per Islamabad è pienissimo, in particolar modo di bambini piangenti, per cui non si dorme. Arriviamo alle 1 ora locale ad Islamabad, per noi sono solo le 22.30 ma, siamo cotti. Tra formalità doganali, ritiro bagagli si fanno le 2.15 e poi ci vogliono tre quarti d’ora di taxi per arrivare all’hotel dove per fortuna facciamo un velocissimo check-in. Dormiremo solo 4 ore perché dobbiamo andare a Peshawar. Forse potevamo risparmiarci lo stop a Islamabad che tanto non visitiamo. Hotel Islamabad.
3/9 Trasferimento a Peshawar, tre ore di auto. Abbiamo preso possesso delle nostre jeep con le quali faremo tutto il viaggio; siamo in tre per macchina più l’autista.
Arriviamo verso le 12, ci sistemiamo nelle camere e pranziamo. Il Pearl Continental è un bell’albergo occidentale. Unica cosa ha dei controlli impressionanti all’entrata, sembra un check point di una zona di guerra (anche quello ad Islamabad aveva le barriere anti carro ed il metal detector ma una procedura semplificata) per cui ci viene da pensare che abbiano una gran paura degli attentati.
Il cibo ci entusiasma perché è tutto ottimo anche se scopriremo nei giorni a venire che è sempre il solito menù: riso con dahl (lenticchie), pollo cotto in un paio di maniere e a volte agnello. La frutta si trova sempre al mercato (pere, pesche, uva e banane) ma quasi sempre molto acerba (si vede che la gradiscono così). La cosa migliore è il mango non a caso il frutto nazionale.
Alle 14 sotto un sole cocente ci dirigiamo verso il museo archeologico di Peshawar a capo velato. Il museo più importante d’Asia per l’arte buddista (dicono) ha anche una parte etnografica ed una islamica.
È molto interessante perché ci sono raccolte molte testimonianze della prima diffusione del buddismo. Siddartha vive nel IV secolo avanti Cristo ma la sua filosofia rimane confinata alla sua zona di nascita e predicazione. Nel 300 a. C. Alessandro Magno (327-322) conquista l’India , in realtà invade il territorio attuale del Pakistan perché non riuscì mai a varcare l’Indo perché ad un certo punto il suo esercito stanco per il clima, le bestie feroci e le malattie si rifiutò di continuare ad andare avanti e volle tornare indietro . Sulla via del ritorno Alessandro perse gran parte del suo esercito nell’attraversamento della Geodrosia, l’attuale regione desertica del Pakistan, il Belucistan, al confine con l’Iran. Molti dei suoi uomini però che si erano sposati con donne del luogo rimasero e dettero vita a dei regni di lingua e cultura greca ma, conquistati poco dopo dal Re maurya Ashoka che regnò su gran parte del subcontinente indiano e fece del buddismo una religione di stato, di religione buddista.
Nel regno di Ashoka la religione buddista diviene elemento unificante e di controllo: Ashoka fondò nella sola valle dello Swat circa 1300 monasteri. I monasteri avevano la funzione di amministrazione e controllo del territorio: amministravano la giustizia, controllavano le principali vie di passaggio, riscuotevano le decime in veste di elemosina per i monaci infine erano meta di pellegrinaggio in quanto costruiti intorno a qualche reliquia del Budda o di qualche suo discepolo.
Nel monastero accanto al monastero vero e proprio (Vidara) c’è sempre uno Stupa che può essere di tre tipi: custodisce al suo interno reliquie del Budda o suoi discepoli, commemorativo del passaggio di uno dei discepoli o essere una specie di ex-voto di un committente. Al contrario degli stupa che si possono vedere in Birmania, Nepal ecc. questi risentono molto dell’arte greca. Ashoka, dovendo dare una veste iconografica al buddismo, si avvale di artigiani e iconografie greche. Il buddismo delle origini è didascalico, un po’ come le nostre chiese medievali (la Bibbia pauperum ) e la base degli stupa è decorata con metope e triglifi, solo che nelle metope in veste di dei greci è raccontata la vita del Budda.
Dopo il museo ci dirigiamo al bazar Qissa Khwani o bazar dei cantastorie. Le donne indossano per lo più il burka ma ce ne sono anche di semplici velate. Noi, nonostante il caldo soffocante, indossiamo la nostra divisa che manterremo per tutto il tempo della nostra permanenza nella regione Kiber- Pashtunka: pantaloni lunghi e larghi, camicia a maniche lunghe ed all’occasione velo in testa. La gente è però cordiale e curiosa, parliamo con molte donne e uomini.
Il centro di Peshawar è pieno di belle case in legno intagliato risalenti al periodo Mogul (1700), un po’ fatiscenti ma con un loro fascino. Percorriamo la via degli orafi dove ci sono un sacco di begli orecchini e collane ma abbiamo poco tempo per fare shopping. Visitiamo la moschea di epoca mogul Mahabat Kan particolare per le belle decorazioni floreali. Accanto alla moschea c’è un caravanserraglio del 1700 che purtroppo è bruciato due anni fa e chissà se lo restaureranno mai o lo lasceranno definitivamente crollare.
Rientriamo in albergo verso le 19 sfiniti dal caldo umido. Doccia ed ottima cena sulla terrazza dell’albergo.
4/9 Torniamo in centro e visitiamo la casa dei Sinth, una famiglia di mercanti indiani benestanti del 1800 ( in quel epoca c’era un florido commercio con i russi). La casa è bellissima, tutta in legno intarsiato con un grande cortile centrale e decorazioni floreali a specchi, a tre piani più un piano interrato per l’estate. Nel 1800 c’erano molte famiglie di mercanti indiani a Peshawar e ci sono molte case come questa ma la casa dei Sinth è l’unica ad essere stata restaurata.
E’ domenica ed il centro di Peshawar è molto più godibile senza negozi aperti e banchetti in mezzo la strada e ci fa scoprire le bellezze architettoniche della città. In Packistan pur essendo una repubblica Islamica, i negozi e uffici fanno orari occidentali (aperti il venerdì e chiusi la domenica).
Ci dirigiamo poi verso Takht I Bahi, rovine di un monastero buddista risalente al 1 sec. A. C. immerso tra bellissime colline verdi. Per accedervi si sale una scalinata nel monte e durante la salita troviamo varie famiglie in gita e ci fotografiamo a vicenda. Nel monastero Stefano ci spiega la differenza tra il buddismo del Mahayana (Grande Carro) dove il Budda dopo la morte ha compassione di noi e torna indietro in veste di Bodisvatta; quella del Piccolo carro che è quella ad es. della Birmania dove quando il Budda muore (cioè lascia il suo corpo terreno) non torna ed ognuno deve cercare la sua illuminazione senza aiuto, da sé: quella tibetana o del Diamante dove il Budda si reincarna nel Dalai Lama.
Il posto è molto bello con una larga visuale sulle montagne dintorno.
Terminata la visita, troviamo al parcheggio due jeep della polizia che decidono di scortarci per i prossimi giorni. Entriamo nella valle dello Swat, un affluente del Kabul altro grande fiume pakistano che nasce a Kabul, la città, e sfocia nell’Indo. La valle è importante perché fu la sede del regno di Gandara, antica civiltà esistita tra il 1500 ed il 500 a.C. Dalla metà del I millennio a.C., Gandhāra fu una delle 21 satrapie (province) dell’impero persiano achemide. Le città più grandi erano Taxila (che visiteremo alla fine), elevata a capitale da Dario I (549-486 a.C.) e poi conquistata da Alessandro Magno, e Peshawar.
Arriviamo a Saidu Sharif (970 metri di altezza per cui si inizia a respirare) verso le 18.30.
Il trasferimento è stato lungo ma interessante: abbiamo fatto un primo passo a Malakand e poi un altro a Mingaora. I paesi che abbiamo attraversato sono grandi e molto vivaci, pieni di negozi e grandi magazzini che vendono vestiti, scarpe e mobili. Questo perché la valle è molto popolata (2 milioni di abitanti) anche se non ci sono palazzi o grattacieli o grandi città come ce le immaginiamo noi ma, il territorio è densamente popolato. Inoltre la zona è una destinazione turistica molto popolare in Pakistan perché verde e fresca.
Lo Swat Serena Hotel è un bell’albergo in stile coloniale che era la vecchia residenza del Whali, signorotto locale, l’ultimo della dinastia che ha regnato fino al 1948 (indipendenza del Pakistan dall’Inghilterra). Questo ultimo discendente era molto illuminato ed è stato lui ad iniziare gli scavi archeologici e chiamare il famoso archeologo italiano Giuseppe Tucci il quale studiò e scavò per primo le rovine buddiste che vanno dal 300 a. C. fino al IV sec. D. C. epoca nella quale arrivano gli Unni bianchi (popolazione proveniente dall’attuale Uzbekistan) e distruggono questa civiltà.
5/9 Sempre scortati dalle camionette della polizia (con tanto di mitragliatore a bordo), visitiamo il sito di Bukkara, dove si trovano le rovine del più antico stupa della valle. Sono ben visibili ben 4 strati risalenti ad epoche diverse dal 1 al 5 sec. D. C.; lo stupa è circondato da un deambulatorio sorretto da colonne (sono rimaste solo le basi) e vari piccoli stupa votivi ed i resti del monastero.
Di seguito vediamo lo stupa di Saidu Sharif il più grande della valle. Di tutti gli stupa che abbiamo visto è rimasto sempre il basamento decorato con i bassorilievi con la vita del Budda mentre rimane poco o niente della cupola e del cappello, detto Chandrika, formato da vari dischi di pietra distanziati da supporti. Lo stupa è la rappresentazione del Budda nella posizione del loto (quella con le gambe incrociate).
Ci spostiamo poi nel vicino Museo dello Swat voluto da Tucci, molto ben fatto ed interessante. Prima di entrare ci soffermiamo sul monumento ai caduti, civili e militari, della valle nella guerra durata dal 2006 al 2010 contro i talebani provenienti dall’Afganistan. Nel 2010 i talebani ebbero la meglio ed hanno governato la valle fino al 2017 quando il governo di Islamabad ne riprende il controllo. La guida ci tiene a mostrarcelo per farci capire che al di là dei burca e del fatto che la gente del luogo sia di etnia pashtun come i talebani appunto, non era a loro favore ed ha combattuto strenuamente per conservare la loro indipendenza. Il governo talebano è stato disastroso per la valle, i talebani hanno stuprato le donne, razziato e distrutto le memorie storiche per cui non sono molto amati. Adesso il 90% del confine lunghissimo tra Afganistan e Pakistan è sorvegliato e fortificato proprio per evitare future invasioni.
Ci dirigiamo verso Barikot, dove si trovano le rovine della città di Bazira, citata nelle conquiste di Alessandro Magno dove si possono scorgere le rovine dell’accampamento macedone.
Lungo la strada per Barikot facciamo due fermate, una per vedere uno dei tanti budda scolpiti nella roccia sfregiato dai talebani e l’altra per uno stupa ben conservato, Shingardara Stupa che la leggenda vuole edificato da il re Uttara Sena ma le date non tornano. Quando Tucci iniziò i suoi scavi si basò per trovare i siti dove scavare sui resoconti molto accurati fatti da monaci buddisti cinesi che viaggiarono in queste zone dal 3° al 7° sec. D. C. alla ricerca di reliquie da riportare con sé in Cina.
Dopo la visita di Bazira/Barikot (non è rimasto molto ma il luogo è sempre sede di scavi condotti da archeologhi italiani) ci dirigiamo verso l’ultimo ed estremamente fascinoso stupa della giornata Tokar Dara.
Per raggiungerlo percorriamo una stretta stradina che sale sulla montagna, il sito è ottimamente conservato, immerso nel verde delle montagne e di gran fascino.
Rientriamo stanchi ma felici in albergo dove ceniamo.
6/9 Partenza alle 8 per Ayun nella valle del Chitral, 200 chilometri che percorriamo tra soste foto e pranzo in 10 ore!
Lasciamo la valle dello Swat e percorriamo la strada lungo il Pangikora, altro lungo fiume affluente dello Swat. Passiamo attraverso paesini da brivido dove vediamo solo uomini che ci ignorano o se ci guardano, ci guardano malissimo, e rare donne in burca. Una sensazione molto sgradevole. Attraversiamo il tunnel di Lovara, pranziamo in un luogo ameno lungo il fiume e verso la fine del tragitto, dopo strade sterrate di montagna a 2000 metri di altezza, lasciamo il Pangikora per seguire il fiume Citral o Konar secondo alcune carte, fiume che poi va in Afganistan per immettersi nel Kabul (sembra che scorra alla rovescia). La valle di Citral è una bella valle con alte montagne.
Il Fort Ayun è una specie di miraggio dopo dieci ore di strade fangose e strette: un meraviglioso giardino all’inglese di rose e gelsomini perfettamente curato. Al nostro arrivo non poteva mancare un the servito sul bel prato. Camere semplici ma pulite e ben tenute. Cena in albergo
7/9 Partiamo alle 8 perché anche se dobbiamo percorrere solo 13 chilometri ci vorranno quasi due ore perché la strada è stretta, sterrata e scavata nella roccia e spesso interrotta dalle frane. Attraversiamo il paesino di Ayun, aspettiamo per due volte che le ruspe ci liberino dalle frane e proseguiamo nella valle dei Kalash.
Dopo il ponte sul fiume Citral c’è una biforcazione: una va a Rumbur e l’altra a Bumburet. La valle che va verso Rumbur è molto stretta ma piena di grandi noci, fonte principale di proteine per la popolazione. Rumbur è meno turistica e pertanto più autentica.
I kalash sono una minoranza pagana di cui sono rimasti solo 5000 appartenenti perché in passato assimilati dai mussulmani. Adesso sono una minoranza protetta, è un’etnia a sé, parlano una strana lingua che non ha nulla a che vedere con le altre lingue afgane o pakistane. Le donne indossano dei copricapi colorati e ricamati, credono in vari dei, alcuni maschili oziosi ed altri femminili più attivi, in particolare la dea Jestak di cui non esistono più rappresentazioni ma viene identificata con un ramo di agrifoglio. La comunità divide luoghi e mansioni tra uomini e donne: alcuni lavori sono solo per gli uomini ed addirittura alcune parti della casa come la parte sacra dove c’è appeso il rametto di agrifoglio che rappresenta la dea. Inoltre c’è una divisione tra gli impuri (parata) ed i puri (onjeshta). Le donne quando hanno le mestruazioni o dopo il parto vanno nella casa delle mestruazioni (Bashali Dur) dove se stanno un po’ in santa pace. Dopo il parto e la permanenza nella casa vengono purificate nel tempio di Jestak dove si tiene anche la cermonia dei defunti. Tutti i riti di purificazione vengono fatti con il fuoco o meglio con il fumo anche quelli relativi al rito di passaggio dall’infanzia all’età adulta. Alla nascita ai maschietti viene donato un piccolo arco (la caccia) alle femmine un fuso (la tessitura). E’ un popolo di pastori e cacciatori. D’estate gli uomini vanno su in montagna all’alpeggio con gli animali e tornano quando c’è la festa d’autunno (hanno una festa per ognuna delle 4 stagioni). Quella d’autunno è quella in cui si celebrano i matrimoni. Sono cerimonie molto belle che si tengono in una speciale sala all’aperto dove vengono eseguite particolar danze. Oltre al tempio della Dea Jestak c’è quello del Dio maggiore ma a noi donne ed ai mussulmani è proibito l’accesso.
Visitiamo il paese, entriamo in qualche casa, chiaccheriamo con chi è disponibile, mangiamo qualche noce e facciamo bellissime foto. Pranziamo nell’unica guest house presente nel paese.
Dopo pranzo ripartiamo per Bumburet. La valle di Bumburet è più ampia e più bella ma molto più turistica. C’è un bel museo dove è stata ricreata la casa kalash, il modello del tempio di Jestak ed i costumi tipici. Bellissime le statue funerarie che avevamo già ammirato nel museo di Peshwar. Un tempo i morti dopo essere stati purificati nel tempio venivano esposti nel bosco per una settimana. Dopo che erano stati mangiati dagli animali, i resti venivano sepolti e veniva eretta una statua lignea che rappresentava il defunto. Adesso vengono direttamente sepolti.
A proposito delle sepolture (mussulmane) ci ha incuriosito che qui le tombe sono vicine alle case e molto curate, decorate con fiori o pietre luccicanti.
Dopo la vista al museo torniamo verso Ayun. Il ritorno è velocissimo (tre quarti d’ora). Cena in albergo.
8/9 partenza alle 9. In una mezz’ora raggiungiamo Chitral dove visitiamo la Moschea in stile ma moderna (è stata fatta negli anni ‘50) e vediamo da fuori il palazzo del signorotto locale perché non è possibile visitarlo anche se un cartello dice che nel finesettimana è possibile (ma oggi è giovedì) ma solo quando non sono presenti i proprietari. Passeggiamo per il mercato locale dove compriamo cappelli tipici, io un cappottino, sciarpe, giacche e spezie. Pranziamo in un ristorante sul fiume tappezzato da foto di lady D e William e Kate.
Iniziamo poi il nostro trasferimento verso Booni. Proseguiamo lungo il fiume Chitral: grandi vallate fiancheggiate da montagne brulle, dove il fiume scorre in basso nella verdeggiante pianura tra grandi calanchi calcarei. Le montagne sono molto varie con sfumature rosse di ferro e bianche di calcare.
Arrivando a Booni ci appare la cima del Tirich Mir (7708 mt) da una parte ed il Booni Zong (6541 mt.) dall’altra.
Albergo bruttino, alcune camere decenti ma la nostra sporca e con bagno all’esterno con doccia fredda. Cena cattiva in albergo ma il paese non offre altro. Booni Guest House
9/9 Dopo notte completamente in bianco (ma al mattino scopro che tutti hanno dormito poco e male probabilmente per via dell’altitudine siamo a 2000 mt) partiamo. Dopo un’oretta fermata per fotografare le montagne innevate della catena del Tirich Mir da una parte e del Sarangar (7349 mt.) dall’altra.
La strada è tutta sterrata, all’inizio abbastanza buona ma quando passiamo il ponte sul fiume Chitral inizia uno sterrato faticoso, tutto pietroni e buche.
La vista del passo dello Shandur è spettacolare, un panorama di ampiezza immensa, una prateria dove pascolano gli yak circondata da belle montagne, e ci ripaga della fatica della salita. Il passo è a 3800 mt., passeggiamo nei verdi prati, osserviamo il campo di polo più alto del mondo dove la squadra di Chitral sfida da anni quella del Gilgit e proseguiamo per fermarci poco più avanti lungo le erbose ed idilliache sponde del Gilgit dove facciamo un ottimo pic-nic. L’acqua del fiume appena sgorgato è limpida e azzurra ed invita al bagno ma purtroppo non si può fare.
Dopo pranzo ripartiamo ed incontriamo degli incredibili campi di grano (siamo a 2000 mt!) che stanno falciando a mano e raggruppano in fascine. Questa è una caratteristica di questi paesaggi che da noi sarebbero montani ma qui è normale trovare a 2000 metri alberi da frutto e campi seminati. Pare sia un grano siberiano che cresce così bene da consentire ben due raccolti l’anno quindi quella che vediamo non è una mietitura tardiva ma la seconda.
Costeggiando il Gilgit siamo entrati nella regione del Gilgit-Baltistan. Dormiamo nella valle di Yasin allo Yasin Fort, che non è un forte ma un albergo normale, pulito e con acqua calda.
10/9 Partenza alle 7 perché ci attende un altro lungo trasferimento.
Lungo la strada quando passiamo sul fiume Ishukman si può vedere la fine della catena dell’Hindukush che ci ha accompagnato nei giorni passati e iniziamo a fiancheggiare la catena del Karakorum. Attraversiamo Gilgit che come la maggior parte delle cittadine del nord Pakistan è un agglomerato di negozietti e case basse di circa 10.000 abitanti.
Lì vicino vediamo la roccia del Budda di Korgah Nala scolpito nella roccia. Proseguiamo lungo il fiume Gilgit fino al punto panoramico sul Rakaposhi (7790 mt.) che ci impressiona molto. Dal punto panoramico sul fianco della montagna di fronte al Rakaposhi è possibile vedere un breve tratto dell’antica Via della seta che all’epoca non seguiva, come facciamo noi adesso, il corso del fiume in basso (pericoloso per le piene impetuose) ma andava a mezza costa sulle montagne.
Ci fermiamo ancora poco dopo per pranzo al Rakaposhi View Point Caffè a Gulmet, grazioso ristorante con terrazza direttamente affacciata sul torrente generato dal ghiacciaio del Rakaposhi. La vista sul ghiacciaio è impressionante, per qualcuno anche un po’ paurosa.
Nel primo pomeriggio superiamo il ponte sul Gilgit ed iniziamo a seguire la Karakorum Highway (KKH) lungo il fiume Hunza. La KKH non è un’autostrada come il nome sembra suggerire ma, è una strada asfaltata a due corsie con tanto di strisce bianche centrale e laterali e per questa regione equivale ad una nostra autostrada. E’ una realizzazione cinese e qui ne vanno molto orgogliosi.
Costeggiando l’Hunza entriamo nell’omonima valle che secondo la nostra guida pakistana Armal che viene da qui, è l’origine di tutte le meraviglie: qui tutto è più bello e più buono. Effettivamente è una bellissima valle e Karimabad dove arriviamo nel pomeriggio, una cittadina antica e deliziosa.
Appena arrivati andiamo a visitare il forte di Baltit che sembra una costruzione tibetana ed ha circa 900 anni. La valle di Hunza è un’isola felice dopo l’oscurantismo del Kiber-Pashktunga la regione con le donne con il burca. Qui le donne sono a viso scoperto, senza velo, sorridenti e colorate e soprattutto lavorano nei negozi e nei ristoranti. Questo perché sono mussulmani ismaeliti, sciiti che a differenza di quelli iraniani credono che l’Iman nascosto sia il 7° e non il 12° (l’Iman nascosto è quello che per gli sciiti risorgerà insieme a Gesù). Per loro la catena degli Iman per discendenza arriva fino all’attuale 49° iman l’Aga Kan della Costa Smeralda. La fondazione Aga Kan è molto importante in questa zona perché ha creato in ogni paesino sperduto il dispensario e molte scuole. Gli ismaeliti non sono mussulmani osservanti, pregano 3 volte al giorno anziché 5 e fanno preghiere veloci ed anche il Ramadan non è obbligatorio. Molti ismaeliti sono molto ricchi ed importanti ed è per questo che sono riusciti a sopravvivere bene in un paese a maggioranza sunnita.
Il Forte di Baltit era la residenza del signore locale i cui discendenti non abitano più qui ed hanno donato il forte allo Stato. Il forte era necessario sia perché qui siamo in una regione di confine sia perché Karimabad era in guerra con la cittadina del versante opposto Nagar. Il palazzo è stato disabitato negli anni ’50 e poi restaurato dalla fondazione Aga Kan. Visita piacevole e bellissimo panorama.
Scendendo dal Forte facciamo un po’ di shopping (qui i negozi migliori di tutto il giro) nei numerosi negozi che fiancheggiano la strada principale dopodiché doccia e cena in albergo, un po’ tristanzuola forse perché siamo gli unici ospiti del Darbar Hotel per il resto bell’albergo, pulito e accogliente. Dopo cena lezione di Stefano sulla via della Seta e Marco Polo.
11/9 Partiamo con calma alle 9,15. Visitiamo il vicino paesino medievale (risale al 1000) di Ganish molto interessante anche perché pur essendo stato tutto restaurato, ci vivono ancora 8 famiglie. La guida è brava e ci fa notare i decori degli intagli che abbelliscono le moschee familiari dove appare chiaro il passaggio tra buddismo e islam. Prima del 1600 la popolazione dell’attuale Pakistan era prevalentemente buddista poi a poco a poco si è islamizzata ma l’iconografia per molto tempo risente delle religioni precedenti: i decori delle moschee ripetono i simboli vedici ( Ganesh, la svastica, il fiore di loto) e zoorastriani ( il fuoco).
Inizia a piovere e ci spostiamo al Forte di Altit che nonostante il nome è il forte più basso di Karimabad mentre il Baltit è quello alto ma si trova sempre su un’altura rispetto a corso del fiume. Il forte è interessante e restaurato.
Gli autisti ci portano poi a Hopar (2800 mt.) paesino di montagna base di partenza per le passeggiate sul ghiacciaio (in realtà sono due ghiacciai che si uniscono il Bualtar e il Barn). Ha iniziato a piovere forte così pranziamo in attesa che spiovi. Anche dopo pranzo fa freddo e pioviggina quindi rinunciamo alla passeggiata e ci accontentiamo di ammirare l’enorme ghiacciaio dal punto panoramico in alto. Hopar al contrario di Karimabad è sciita non ismaelita e la cittadina è decorata con grandi drappi neri perché fra poco ricorre l’anniversario della morte di Alì.
Torniamo a metà pomeriggio il che ci consente di fare un altro po’ di shopping. Doccia e cena in albergo.
12/9 Partiamo alle 7 per un lungo trasferimento verso il Baltistan. La strada al solito non è così lunga (270km) ma nonostante sia asfaltata (prima ci volevano 12/14 ore) spesso è interrotta da frane. Detto fatto alle 12 troviamo un’interruzione. Lunghe code di camion coloratissimi che finalmente ho tutto il tempo di fotografare. I camion pakistani sono delle opere d’arte, con sovrastrutture in legno e completamente decorati ma viaggiando è difficile fotografarli.
La nostra guida decide che possiamo impiegare il tempo d’attesa per mangiare ed improvvisiamo un pic-nic sulle rive dell’Indo, al fresco sotto gli alberi. La strada infatti corre lungo l’orrido formato dall’Indo che in quel tratto scorre tra le catene montuose del Karakorum da un lato e dell’Himalaya dall’altro.
Ripartiamo dopo un paio d’ore e notiamo nella montagna sull’altro lato una serie di piccole buche: sono le cave di acquamarina (berillio) e rubini (alluminio). La possibile presenza delle gemme è indicata dalle righe di quarzo sul fianco della montagna. Ogni tanto sentiamo delle esplosioni, sono le mine fatte saltare dai minatori.
Arriviamo infine in Baltistan detta così perché ci vive la popolazione Balti che parla una sua specifica lingua ed è di origine tibetana, infatti, è facile vedere persone dagli occhi mongoli e la faccia tonda. Il lago Kachura è bellissimo, un paleo lago di origine morenica. La strada fra le montagne all’improvviso sbuca dall’alto su quest’immensità brumosa ed è come se il respiro si allargasse.
Proseguiamo ancora una mezz’ora scarsa fino ad arrivare al nostro hotel: Shangrilà Resort. Il vecchio proprietario del resort ha formato una specie di piccola svizzera affacciata sulle sponde di un laghetto artificiale incuneato tra le montagne con qualche nota kitsch (il tetto a pagoda del ristorante principale). Per sponsorizzare il suo resort ha ricreato la suggestione di trovarsi nella mitica terra dell’eterna giovinezza (Shangrilà appunto), inventata dall’autore di Orizzonti perduti, acquistando la carlinga di un aereo precipitato lì vicino che adesso funge da bar dell’hotel. Nel libro i sopravvissuti di un incidente aereo atterrano in una località sconosciuta sulle rive di un fiume tra le montagne dove vivono monaci buddisti dall’apparenza giovanissimi ma in realtà vecchi di due/trecento anni.
Alloggiamo in uno dei graziosi chalet lungo lago tra rose ed alberi di melo ed altri frutti. La località è molto apprezzata dai pakistani che arrivano per il fine settimana anche da Islamabad con l’aereo (la vicina città di Skardu ha un aeroporto). Cena non buona in albergo.
13/9 Partenza 8.30. Visitiamo le dune di sabbia formate dal vento sulle rive del lago Kachura. Il paesaggio è incredibile: dune di sabbia degne di Laurence d’Arabia con lo sfondo di montagne innevate (Mango Range) del Karakorum. Ci arrampichiamo sulle dune e ci godiamo questo fantastico panorama. Per fortuna dopo la pioggia di stanotte il tempo è bellissimo ed il cielo terso. E fa pure molto caldo.
Passiamo dalla vicina città di Skardu, capoluogo di provincia ma poco interessante se non per il piccolo Museo Italia K2 che ricorda sia la spedizione di Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi, del 1909 sia quella del 1913 che quella vincente di Ardito Desio del 1954 che permise a Lacedelli e Compagnoni di piantare la bandiera italiana sulla cima del K2 a 8611 metri. I nostri compagni di viaggio montanari completano i racconti con le vicende di Walter Bonatti (al ritorno del viaggio mi vedrò tutti i film su di lui).
Pranziamo in un hotel di Skardu. Ci immaginavano Skardu come una cittadina di alpinisti piena di negozi di corde e attrezzatura varia invece il panorama di negozi non differisce molto da quello di altre cittadine.
Dopo pranzo proseguiamo lungo l’Indo verso Khapulo (130km di distanza). La strada è buona e non molto trafficata. Ci fermiamo nel punto dove l’Indo incontra lo Shyok e per fare un po’ di foto nelle ampie valli costeggiate da verdi pianure e boschetti di pioppi, paesini dalle genti colorate. Il paesaggio è completamente diverso dalla stretta gola percorsa il giorno prima.
Arrivati a Khapulo (2600mt.) vediamo ma, solo da fuori perché non è permesso entrare, la più antica moschea del Pakistan, tutta in legno intagliato in stile tibetano un po’ come quelle di Ganish risalenti al 1600, periodo del primo proselitismo sciita da parte degli iraniani, il modello riprende quindi quello del preesistente tempio buddista.
Da Khapulo saliamo ancora un po’ sulla montagna fino ad arrivare al Forte Khaplu con adiacente palazzo del Raja locale ora trasformato in albergo Serena Khapulo Palace, il più bell’albergo del nostro viaggio. Camere in stile dotate però di tutti i comfort. Noi abbiamo una veranda che affaccia su un giardino privato che condividiamo solo con la camera accanto alla nostra. Ci rilassiamo nel nostro salottino da giardino e poi ci prepariamo per la cena. Anche la cena è ottima, molto curata nell’apparecchiatura e nel servizio.
14/9 Prima di partire visitiamo il resto del palazzo (la parte delle suites) e quella adibita a museo. Poi costeggiamo il lago Kachura ed il fiume Shyok per quasi tre ore fino al villaggio di Machulo posto in fondo ad una valle. Lì vediamo da fuori la vecchia moschea ed ammiriamo la cima innevata del Masherbrum (7826 mt.) ed alcuni albicocchi centenari. Questo è uno dei paesi da cui partono le spedizioni che raggiungono il campo base per scalare il K2. Incontriamo e chiaccheriamo con molti bambini che stanno facendo la ricreazione. In Pakistan le scuole sono miste solo alle elementari poi dividono i maschi dalle femmine.
Questa escursione a Machulo poteva essere evitata perché non ha molto senso fare tre ore di macchina solo per vedere la cima del Masherbrum (e noi siamo stati fortunati perché spesso è coperto dalle nuvole) quando i dintorni del Forte Khaplu sono bellissimi.
Pranziamo presso un allevamento di trote poco distante dal paese, il posto è carino e per una volta mangiamo pesce anziché il solito pollo.
Dopo pranzo torniamo indietro ma da un’altra strada molto più bella dal punto di vista paesaggistico anche se sterrata: attraversiamo boschetti di pioppi e campi di mais o di zucche, villaggetti poveri ma dignitosi e colorati. Passato il ponte sullo Shyok ritorniamo sulla stessa strada lungofiume verso Skardu ma prima di arrivare a Skardu riattraversiamo il fiume in direzione Shigar lungo un altro fondovalle. Bei panorami e dal ponte in una mezz’ora arriviamo ad un altro forte, simile a quello di Khapulo, stesso stile e con bei giardini. Anche questo forte è stato trasformato in albergo e fa parte della catena Serena. Bella camera con travi e cornici in legno intagliato originali. Shigar Fort Serena Hotel.
15/8 Partenza alle 7.30. Ci attende un lungo trasferimento verso il parco Deosai.
Dopo circa un’ora arriviamo al Mantal Budda Rock, un roccione datato, in base alle scritte in tibetano, tra il VI e il IX sec. D.C. su cui è inciso un grande Budda seduto sul fiore di loto contornato da 20 Bodhisativas e due Budda del futuro in piedi (Metreyas). L’incisione è un po’ rovinata ma molto bella e si trova su un’antica via di pellegrinaggio.
Proseguiamo fino ad incontrare il lago morenico di Satpara che adesso è anche una diga che alimenta una centrale idroelettrica. Il paese omonimo è la patria di molti famosi scalatori pakistani: piccolo e grazioso caratterizzato dai terrazzamenti delimitati da muretti a secco.
Proseguiamo lungo una bella valle piena di fiori. Arriviamo all’ingresso al parco a pagamento ($20 per gli stranieri, 500 rupie, €2,5 per i pakistani). Arriviamo al lago Sheosar molto bello e iniziamo a vedere le marmotte. Qualcuno risente dell’altezza, siamo a 4100 mt. Mangiamo in una specie di campeggio tendato in mezzo ad un paesaggio bellissimo; anche se il cibo non è un granché il paesaggio ci ripaga di tutto. Proseguiamo in mezzo a paesaggi che si perdono all’orizzonte, prati punteggiati da fiori bellissimi e marmottine. Ci fermiamo continuamente per fare foto, siamo veramente sopraffatti dalla bellezza del luogo.
Prima di uscire dal parco ci appare in lontananza il Nanga Parbat (8125 mt.) Il parco del Deosai è grande 3000 chilometri ma l’altopiano che abbiamo attraversato è di “soli” 800 chilometri.
Usciti dal parco il paesaggio cambia, scendiamo a 3200 t e ci sono molte conifere e tuie. Costeggiamo adesso il fiume Astore che nasce all’interno del parco. Dopo una giornata di strada sterrata e piena di buche l’ultimo pezzo è asfaltato.
Arriviamo alla città di Astore alle 18.30. Albergo mediocre. Astore Wazir Mahal
16/9 Partenza di buon’ora per arrivare nella zona ai piedi del Nanga Parbat. Dopo una bella strada a tornanti arriviamo in quello che per noi è un paesaggio familiare di montagna solo che qui siamo a 3500 t ed è pieno di alberi. Lungo la strada paesaggio idilliaco con ruscelli e fiori. Facciamo una passeggiata di un’oretta ed arriviamo all’alpeggio di Rama ai piedi del Nanga Parbat: a vederlo non sembra tanto alto ma è maestoso. Ci sono due laghetti e camminiamo lungo le sponde di questi specchi dove si riflette la montagna. Stiamo lì fino verso ora di pranzo, pranziamo lungo la strada e poi ripartiamo lungo valli un po’ brulle fino ad arrivare, dopo una salita piuttosto ripida, al passo di Babusar che collega il Gilgit Baltistan con il Pakistan centrale. Il passo sembra molto turistico, è pieno di baracchine dove si mangia e si vendono souvenir. Fa anche molto freddo, siamo a 4100 mt come ieri ma il clima è cambiato, pioviggina e c’è molto vento. Ci fermiamo ad una mezz’ora da Nara in un eco lodge con riscaldamento a legna, piccoli cottage di legno in stile moderno dove ceniamo anche discretamente. Fa veramente freddo e finalmente possiamo indossare tutto il completo da montagna che ci siamo trascinati dietro tutto il viaggio.
17/9 Partiamo presto in mezzo alle nebbie mattutine, passiamo da Nara cittadina di villeggiatura di montagna piena di alberghi adesso chiusi ma non ci fermiamo (non che ci sia qualcosa da vedere ma volevamo fare un po’ di spese). Più tardi, arrivati a Taxila ritroviamo il caldo afoso dei primi giorni.
Taxila è il sito più importante della civiltà di Gandhara. La città originaria risale al 1000 a.C. all’incrocio di tre importanti vie mercantili ed ebbe grande fortuna fino al III secolo a.C. Visitiamo per prima cosa il Museo davvero interessante anche se alcune teche erano poco illuminate e c’erano molte scolaresche in gita. Il sito archeologico è enorme e composta da vari siti. Noi visitiamo Bhir Mound risalente al VI sec. a.C. con il grande stupa di Dharmarajika.
Arriviamo a Islamabad nel tardo pomeriggio di nuovo al Hotel Islamabad. Noi scappiamo subito dall’albergo e con un taxi raggiungiamo il centro per gli ultimi acquisti di pashmina e collane. Ceniamo discretamente sulla terrazza dell’albergo allietati dalla voce di una brava cantante e poi andiamo in camera per riposare qualche ora.
18/9 Ci svegliamo all’una per dirigerci verso l’aeroporto, facciamo presto ma all’aeroporto c’è il caos e non si riesce nemmeno a scaricare i bagagli. Con le formalità doganali facciamo appena in tempo a prendere il nostro volo delle 3.35. Il nostro lungo viaggio di ritorno è iniziato e terminerà solo a sera.
(Nicoletta Bacci Berlendi)